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Compositrici!

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Sulla corda

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C’erano compositrici nel XIX secolo? I libri di storia della musica potrebbero farcene dubitare. E invece...

Raccontando la storia dell’arte, si è a lungo preferito illustrare solo alcune grandi figure di creatori: geni in lotta con il loro tempo oppure maestri che ne definiscono l’essenza. Questo approccio parziale e a volte crudele ha relegato nell’ombra una moltitudine di musicisti, arbitrariamente qualificati come minori o secondari e condannati al silenzio, poiché non appartenevano al gruppo degli eletti fondamentali. Nel momento in cui rivediamo questo modo di pensare, mettendo in discussione i giudizi estetici del XX secolo e partendo alla riscoperta di bellezze dimenticate, bisogna anche constatare che il periodo che ci precede, nel designare gli autori indispensabili, non ha mai selezionato una sola compositrice. Sulla timeline appesa nella maggior parte delle classi di musica non compare nessun volto femminile. Ciò ha conseguenze incresciose. Come può una giovane donna di oggi intraprendere una carriera di compositrice, se non le è mai stata presentata una figura tutelare che le dimostri che la cosa è possibile, iscrivendosi addirittura in una storia pluricentenaria? Senza minimizzare le difficoltà incontrate ai loro tempi da queste artiste, sembra davvero che sia giunto il momento di studiarne meglio il percorso e di far rivivere le loro opere: a teatro, in concerto, su disco. Presentando questi nuovi modelli del passato, speriamo di partecipare alla costruzione di un futuro più equo e più vario.
L’opera di una donna artista ammirabilmente dotata e straordinariamente operosa come Mme Cécile Chaminade fa di più per la reale emancipazione della donna ed è più pericolosa per la nostra lunga autonomia maschile di qualsiasi discorso.

Armand Silvestre, 1909

Ostacoli
Benché nell’Ottocento alle donne nel XIX secolo non fosse proibito comporre, il contesto generale era comunque poco propizio allo sviluppo della loro carriera musicale. Sin dai banchi di scuola, i ragazzi ricevono ben altro incoraggiamento. Il Conservatorio di Parigi apre le porte a entrambi i sessi sin dalla sua fondazione (1795), ma le classi teoriche (armonia, contrappunto e fuga, composizione) rimangono appannaggio dei maschi fino agli anni Quaranta. Le donne sono incentivate a studiare il pianoforte o l’organo, ma l’idea di indirizzarle alla composizione appare a lungo incongrua; e sebbene la Terza Repubblica metta tutti gli allievi su un piede di parità, le ragazze dovranno aspettare fino al 1903 per poter concorrere al prix de Rome di composizione musicale. Nel frattempo, sono costrette a rivolgersi a insegnanti privati per ricevere la formazione che viene loro negata dalle istituzioni ufficiali. Così, Antoine Reicha dà lezioni a Hélène de Montgeroult, Louise Bertin, Louise Farrenc e Pauline Viardot; Camille Saint-Saëns assiste Clémence de Grandval; Benjamin Godard forma Cécile Chaminade e César Franck prende Augusta Holmès sotto la propria ala. Questa limitazione alla sfera privata non si osserva solo nel campo dell’insegnamento. Crescendo generalmente nell’élite sociale, le compositrici si scontrano con i pregiudizi patriarcali dei loro contemporanei: le si vuole madri e padrone di casa, senza altre occupazioni. A questo imperativo si deroga solo in contesti eccezionali.

“Donne compositori”
Terminati gli studi, arriva il momento di iniziare una carriera. Anche qui, i percorsi femminili divergono da quelli degli uomini. Fare del proprio talento una professione è ritenuto incompatibile con il ruolo che la società attribuisce alle donne, soprattutto se borghesi e aristocratiche. Il fatto stessa che la parola “compositrice” si incontri raramente nel vocabolario romantico dimostra che questo mestiere era considerato aberrante; si preferisce parlare di “donna compositore”, il che denota chiaramente come tale attività puramente maschile non possa riguardare l’altro sesso, se non in modo periferico. Molte autrici del XIX secolo sentono così il bisogno di travestirsi o di conservare l’anonimato nel pubblicare le loro opere; possono assumere pseudonimi maschili (una Marie-Foscarina Damaschino che diventa Mario Foscarina), forme neutre o ambigue (come Ch. Sohy e Mel Bonis), o addirittura nascondersi dietro una semplice lettera puntata, come Sophie Gail, che firma “Mme Sophie G.” la partitura dei Deux Jaloux. Del resto, per quelle che mettono su famiglia la maternità e l’educazione dei bambini segnano una rottura tra il periodo della formazione e quello dei primi passi sulla scena artistica. Le varie tappe che ogni musicista deve superare per dare prova del proprio valore ed essere eseguito nei concerti sinfonici o nei teatri lirici vengono pertanto affrontate dalle donne con quindici o venti anni di ritardo rispetto ai colleghi uomini.
1818
La Sérénade
Sophie Gail
1831
Fausto
Louise Bertin
1867
Le Dernier Sorcier
Pauline Viardot
1888
La Nuit et l'Amour
Augusta Holmès
1892
Mazeppa
Clémence de Grandval
Nei salotti
La reclusione domiciliare e l’impossibilità di fare della musica una professione costringono ovviamente le compositrici a rimanere lontane dalle sedi musicali più prestigiosi, ossia i teatri lirici e le sale da concerto, per accontentarsi di spazi più intimi e privati. La romanza e poi la mélodie, i pezzi per pianoforte, le opere da camera, la musica da camera e la letteratura pedagogica costituiscono le voci principali dei cataloghi di queste artiste. Sarebbe però sbagliato ritenere che i generi secondari producano solo opere modeste. Le partiture di Hélène de Montgeroult recano in sé le basi del virtuosismo pianistico romantico. Le mélodies di Pauline Viardot e i Lieder di Marie Jaëll gettano ponti tra le diverse scuole vocali europee. Le sonate, i trii, i quartetti e i quintetti strumentali firmati da Louise Farrenc, Cécile Chaminade, Clémence de Grandval, Mel Bonis o Rita Strohl meritano di essere riscoperti allo stesso titolo di quelli – spesso anch’essi dimenticati – di alcuni loro contemporanei di sesso maschile. Queste partiture, per la maggior parte, sono in grado di commuovere e impressionare il pubblico odierno per le loro qualità intrinseche, e non è necessario giustificarne la programmazione in nome della parità di genere. Promuovere i lavori delle compositrici non significa, infatti, sostenere una “musica femminile” esteticamente uniforme: al contrario, significa dimostrarne la grande varietà e il perfetto inserimento nel panorama artistico del tempo.

Eccezioni
Tutte le regole hanno bisogno di eccezioni. Le donne non hanno accesso alle scene liriche? Ed ecco che Louise Bertin fa rappresentare, in sequenza, Le Loup-Garou all’Opéra-Comique (1827), Fausto al Théâtre-Italien (1831) e La Esmeralda all’Opéra di Parigi (1836). Possono avere solo successi di stima? Les Deux Jaloux di Sophie Gail arriva a totalizzare 250 rappresentazioni a Parigi tra il 1813 e il 1830, diffondendosi al contempo anche nella maggior parte dei teatri francesi. Le donne si limitano alle formazioni ridotte? Date un’occhiata al catalogo di Augusta Holmès, ai suoi poemi e drammi sinfonici o alla sua Ode triomphale, che comporta niente meno che 1.200 esecutori. Sono state costantemente disprezzate dai loro contemporanei e dimenticate dopo la loro morte? Si noti che, nel designare i compositori defunti che potessero rappresentare la Francia all’Esposizione universale del 1878, si scelse Louise Farrenc, e che il Prix Chartier, conferito dall’Institut ai migliori lavori di musica da camera, fu attribuito a questa stessa compositrice nel 1869 e a Clémence de Grandval nel 1890. Qualsiasi tentativo di confinare le compositrici entro un identico perimetro è contraddetto da controesempi come questi. Poco per volta, nella misura in cui si accederà ai loro archivi, i loro percorsi verranno chiariti meglio e le loro partiture saranno di nuovo collocate sui leggii: e così queste artiste – ribelli o sottomesse – usciranno dall’oscurità del pregiudizio e dall’oblio per rivelare le loro personalità e la pluralità dei loro destini.

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